Per il piccolo Gianluca la gita dai parenti pisani era comunque un’avventura, agognata e attesa per giorni dal momento dell’annuncio, come si conviene a uno che già da piccolo avrebbe venduto un organo inutilizzato per fare un viaggio.
Viaggio, poi. Si andava vicino a Pisa, nello strano borgo di Putignano caratterizzato da belle casette indipendenti sparse per la campagna attorno agli argini dell’Arno.
Una delle attrazioni per me e mio fratello erano proprio quegli argini. Per noi, che grazie a Dio che non ringrazieremo mai abbastanza viviamo SUL MARE, vedere il fiume era comunque una roba strana.
La seconda attrazione era il passaggio a livello. La casa degli zii era su una strada tagliata dalla ferrovia e i nostri pomeriggi lì fuori erano caratterizzati dallo scampanare della sbarra che si abbassava (e noi fantasticavamo che ci fosse un minuscolo Giovanni che ne determinava il movimento) e dal passaggio, vicinissimo, del treno.
Poi c’era casa degli zii Edgardo e Pieranna (nomi che, come capirete, erano perfettamente congruenti con il clima da favola di quella giornata fuoriporta). La casa ci sembrava bellissima, nientemeno che una villetta a due piani con l’ingresso da una parte e dall’altra (!), insomma una roba tipo Trump Tower per noi che venivamo dai tre vani di Via Sarzana, Migliarina.
Entrando in casa, su un mobile a destra, lo sguardo era rapito da un meraviglioso grammofono, con la tromba (si chiamerà così?) di ottone lucido, il piatto che da chissà quanto non aveva ospitato dischi, ma sufficiente a farmi sognare se solo chiudevo gli occhi le arie di lirica che lo zio Edgardo amava. Lo zio Edgardo, con il suo humor toscanaccio, che diceva “un esercito di brodi” invece che “di prodi” e “com’è stata quella guerra? mondiale!” a me che non ridevo perchè non le capivo.
Poi il bagno al piano di sopra, con la scala che saliva e pensavi di essere nel Qualcosashire invece che a Putignano.
Accessori alla visita agli zii erano in genere la parentesi shopping alla Stalla Toscana (che era davvero una stalla con la roba alla rinfusa) e nei negozi di scarpe della vicina Titignano, dove i prezzi erano eccezionali e io ottenevo qualche adesivo per la mia collezione.
E poi la visita all’aeroporto, dove davvero diventavamo selvaggi con mutande di foglie di bambu che aprono la bocca davanti al grande uccello volante, in quell’epoca in cui Ryan Air era ancora nei pensieri di Gesù.
Quando le visite coincidevano con l’estate c’erano le feste dell’Unità, dove degustavamo il “pane pomodorato”, che mi sembrava una cosa buonissima e irripetibile e invece era solo pane bagnato di pomodoro (non bisognerebbe mai spiegarsi i ricordi troppo romantici).
Il viaggio a Pisa finiva di sera, con il ritorno a casa sulla nostra Ford Escort, io seduto dietro a leggere i miei Zagor se c’era luce, a guardare le stelle sperando di vedere un UFO se era buio, infine ad addormentarmi.
(PS Mentre scrivevo avevo la sensazione di aver già scritto qualcosa su Putignano, ma tra i difetti di diventare vecchio, oltre a scoprire il segreto del pane pomodorato, c’è che non ti ricordi più un cazzo.)
(PS2 La cugina Antonella, figlia di Edgardo e Pieranna, mi manda la foto del grammofono)
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