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Archive for aprile 2012

Ieri guardavamo la guida di Londra con Franci.
Quando siamo arrivati a Buckingham Palace ha esclamato, con fare risoluto: “Io però la Regina non la voglio incontrare!”

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Il viaggio più spettacolare della mia infanzia è stato quando siamo andati in Spagna in macchina.
Io avevo cinque anni e non avevo diritto al posto auto perchè eravamo in sei e la Escort (una delle nostre tante Escort in un tempo in cui non era così di moda) era omologata per cinque.
Così io dovevo spesso stare ai piedi di mia mamma, nascondendomi alle blande pattuglie stradali franchiste, e ogni tanto avevo diritto di vedere fuori.
Per fortuna ero un bimbo che non vomitava in macchina.
Da quel viaggio, purtroppo, sono derivate un paio di fobie.
La prima è stata quella per le altezze, dopo che i miei mi hanno portato sulla Sagrada Familia e mi hanno fatto attraversare uno di quegli arditi archetti che secondo me nemmeno Gaudi ci passava per paura che cadessero.
La seconda, che mi è tornata in mente in questi giorni analizzando le novelle fobie di Franci, è quella dei diavoli del Goya.
Va detto che all’epoca mio papà aveva la fissa delle diapositive, in breve dia, e alla fine di quel viaggio spagnolo potemmo contare su svariati caricatori piani e circolari da scaricare sui malcapitati ospiti di casa nostra.
Una di quelle duemila dia raffigurava un quadro di Goya che mio padre aveva fotografato fottendosene dei bonari custodi franchisti.
E nel quadro c’erano, musica di suspans, i diavoli che attorniavano il pittore spagnolo sul letto di morte.
Io di quella dia me ne sono fatto una malattia.
Ogni volta – e capitava troppo frequentemente – che qualche ospite veniva a casa mia iniziava il rito della preparazione della sala proiezione: via i quadri, montaggio del proiettore e ripetizione delle stesse immagini e delle stesse battute, inclusi i commenti sulla carta da parati che faceva da sfondo ad ogni inquadratura.
Ma io sapevo che sarebbe venuto il momento dei diavoli di Goya.
Pretendevo di essere avvisato con congruo anticipo del loro arrivo per poter chiudere gli occhi o fuggire in altra stanza.
Poi me li sognavo ed erano guai.
Non servivano i Gormiti. A un bambino con troppa fantasia bastava un quadro spagnolo a creare un mondo di paure.

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Addio parola bella

L’amico Costa mi segnala un post di Bordone nel quale si spiega l’origine della parola “ambaradan”.
Bordone dice che non la usa più perchè ricorda un fatto storico, il massacro dell’Amba Aradam da parte dell’esercito italiano in Etiopia.
Uffa, era una delle mie parole preferite.
Ora però non ditemi di non usare più “delirio” (per rispetto ai malati mentali).

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Alla fine doveva succedere: abbiamo uno scrittore in famiglia.
Già da un po’ si vede che ci rimuginava, perchè l’altro giorno mi ha detto che la difficoltà di scrivere un libro è sia nel trovare una storia che nello svilupparla.
Ma io non ci avevo dato peso.
Ieri invece, complice una domenica casalinga con febbriciattola, è passato all’azione.
Ha preso alcuni fogli A4 e li ha uniti con lo scotch per formare un libro, scegliendo saggiamente di essere anche l’editore di sè stesso.
Sulla copertina ha scritto “I 3 VIAGI DI SAETA MEQUIN”, ambizioso titolo ripetuto anche in verticale sulla costola, casomai qualcuno lo mettesse in libreria.
E via, senza blocco dello scrittore, si è sparato le prime due pagine con la presentazione dei personaggi, incluso un disegnino approssimativo (che noi sappiamo scrivere, non disegnare) e una frase introduttiva sulle caratteristiche di Saeta.
La cosa inquietante, sono sincero, è che tutta sta roba (vizi e virtù) passa da me a lui per misteriose correnti osmotiche.
Lui non sa che io scrivo, non sa del blog, eccetera. Eppure l’istinto lo porta in quella direzione.
Così come molti atteggiamenti di paura sono identici a quelli che avevo io da piccolo, senza che ovviamente lui ne sappia nulla.
A questo punto speriamo che il suo romanzo venda e che quelli della Pixar non ci chiedano i diritti..

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