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Archive for the ‘Facceride’ Category

Micol, le foto

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Immaginate di essere un ragazzo sui venticinque, trent’anni, dall’aspetto timido ed educato. Immaginate di invitare la vostra fidanzata, una tipa dall’aspetto timido ed educato, a cena fuori e di scegliere proprio quel ristorantino simpatico del centro della Spezia, pochi tavoli e un’ottima scelta di vini. Immaginate di mettervi il vostro gessato migliore, una camicia raffinata, e di passare a prenderla trovandola bellissima nel suo abitino nero, messa in piega e rossetto.
Immaginate che serata vi aspettate con queste premesse.
E immaginate, infine, cosa succede quando entrando nel minuscolo locale scoprite – cosa che il simpatico ristoratore vi aveva nascosto – che dovrete dividere lo spazio con una tavolata di venticinque colleghi in cena aziendale, che si sa che in quelle occasioni la gente è portata a creare visioni, rumori e profumi che potrebbero guastare l’atmosfera ideale per una serata romantica.
A quel punto avete tre opzioni:
a) Dite “no, grazie, a queste condizioni non ci sto”. Prendete la vostra fidanzata sottobraccio e la portate in un altro posto, magari a Portovenere o a Lerici.
b) Vi predisponete al casino che vi attende, cercando di socializzare con la rumorosa fauna in modo da risultare simpatico e prendere qualche punto con la fidanzata.
c) Rimanete paralizzati come un gatto in autostrada e vi sedete, pronti al sacrificio.
Avrete ben capito che la risposta giusta è la prima. E avrete anche immaginato che il nostro soggetto ha scelto la terza, cioè quella sbagliata per definizione.
La serata è così iniziata sulla sua faccia grigia che si contrae in una smorfia di “scusa che ti ho portato qua”, rintuzzata dal rassicurante “figurati, mica è colpa tua” che in realtà va tradotto con “certo che è colpa tua, coglione”.
Poi, con il passare delle ora, lo sguardo del soggetto si faceva sempre più tetro. Le sua mani incrociate sotto il mento, i mignoli con piccoli scatti nervosi, tentavano un impossibile scudo al crescente caos che li circondava.
Un pezzo del pensiero andava, si vedeva, al conto che ci sarebbe stato alla fine, spropositato in ogni caso e soprattutto come risultato di questa serata di merda.
Lei provava a spezzare la tensione, parlava e lui non ascoltava, sorrideva mentre le labbra di lui temperavano nuove tonalità di grigio.
Poi alle dieci e mezza lui ha provato a sorridere, ne è uscito un ghigno ma era il massimo che potesse fare e per un attimo gli abbiamo voluto bene.
Qualcuno, magari dentro di sè, gli gridava come a Forrest Gump di alzarsi e scappare ma lui ormai era in totale trance che sono sicuro che oggi non solo non si ricorda di cosa ha mangiato ma nemmeno che la giornata di ieri sia esistita nella realtà invece di essere un brutto sogno.
Alla fine, in qualche modo, è arrivato il conto.
Lui ha tagliato i marosi del delirio che gli ballava in tondo, si è beccato qualche urla, ha raggiunto la porta.
Ed è uscito da lì.
Sono cose che pesano, specie a una certa età.
Abbiamo immaginato un rapporto pluriennale che si sfalda per una scusa qualunque, incapaci di riconoscere come genesi dell’addio proprio quella volta in quel ristorantino simpatico.
Abbiamo immaginato una nuova intolleranza per il pesce, che non lo abbandonerà per tutta la vita.
Ma io sono sicuro che lei, all’uscita, l’ha perdonato e si è rallegrata che lui non fosse come quegli animali là dentro.
Lo diventerà, ma lei fa finta di non saperlo.

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Il presidente è nudo. La casa è del cognato. Tira aria di inciucio. I PM chiamano Fini. Il contratto inchioda Tulliani. Il partito di Fini: Futuro e Mattone. Fini, la morte dell’inchiesta. Casa svenduta, ha deciso Fini. Trovato Tulliani, a casa. I 100 che danno soldi a Fini. La signora in nero di Montecarlo. Fini, scusate abbiamo scherzato. La legione straniera di Silvio. Bossi, kamikaze anti-Fini. Inchiodati alla sedia. Elezioni, ultima chiamata. Fini vomita sangue sui feti. Il grande ipocrita. Ecco i veri scheletri di Fini. Pronto il governo Fini-PD. Fini impose l’uomo del boss. Cessate il fuoco. Fini, la lettera salvacricca. La cricca nell’ufficio di Fini.

(sono i titoli di Libero! dal 29 agosto in poi. uno solo è finto, ma è difficile da trovare)

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C’era uno scarafaggio fortunato
Gli andava dritta qualsivoglia cosa
E gli animali del suo vicinato
Dicevan: “Che fortuna favolosa!”

Aveva una corazza luccicante
Zampe forti, mandibole accurate
“Che sogno poter esserne l’amante”
Cantavan le blattine innamorate.

Se si doveva far la nuova tana
Trovava fango di prima qualità
Come porta una buccia di banana
Per dare un tocco esotico e charmant.

Quando cercava il cibo, manco a dirlo
Eran le prede a correre da lui
Niente sembrava in grado di stupirlo
Non esistevan giorni grigi e bui.

Le mosche ne apprezzavano il talento
Nel reperire merde di stagione
Le farfalle pensavan “Che portento!
Che lunga vita fa quel bagarone!”

Ma un giorno, con violenza inaspettata,
Un incidente ne causò la morte
Finì sotto una suola rinforzata
Cessò di colpo la sua buona sorte.

Qualcuno rise per la dipartita
Qualcuno ironizzò sulla corazza
Che non bastò a salvare la sua vita
“Pur luccicante non servì a una mazza”.

Nessuno spese lacrime sincere
Nessuno gli lasciò pensieri buoni
Perché l’altrui fortuna fa piacere
Ma quando è troppa girano i coglioni.

(Il Many, già organizzatore delle bellissime Schegge di Liberazione, ci ha chiesto di giocare ancora sul tema della (s)fortuna. Ne è nato un altro e-book, Cronache di una sorte annunciata, che verrà letto nell’ambito del Festival della Filosofia di ModenaCarpiSassuolo (se ho ben capito). Vabbè, questo è il mio sciocco contributo.)

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1. L’outlet è una specie di parco dei divertimenti, solo che l’ingresso è gratuito e la permanenza è a pagamento. E ti diverti pochissimo.

2. All’outlet la gente vede le cose in vetrina e pensa “cacchio ma costano pochissimo” e poi entra e compra tutt’altro e pensa “cacchio ma quanto ho speso”.

3. All’outlet trovi offerte stratosferiche sulle ultime taglie e se sei Hulk o Pollicino fai dei grandi affari.

4. All’outlet trovi offerte stratosferiche sui colori fuori campionario, che sono quelli fatti per guerra batteriologica.

5. All’outlet trovi offerte stratosferiche sui modelli delle stagioni precedenti. Io, ad esempio, mi sono preso una toga.

6. Tolte queste tre categorie, il resto costa comunque un delirio.

7. L’outlet è un posto magico perchè quando esci hai nel portafogli gli stessi soldi di quando sei entrato. In compenso hai strisciato talmente tante volte la carta che se ci mettevi la dinamo avresti prodotto energia per un paese di medie dimensioni.

8. L’outlet è il luogo ideale per andarci con i bambini piccoli. Possono correre per le corsie, urlare e, se sei fortunato, uscire con qualche maglietta in mano senza che suoni l’allarme.

9. All’outlet entri con un budget di spesa e lo bruci nella prima mezzora. Di lì in poi fai finta che non ce lo avevi.

10. Cose da non portare all’outlet: armi, animali e mogli.

11. I negozi delle grandi marche, all’outlet, hanno la guardia alla porta che se ti vede povero fa no con la testa.

12. All’outlet entri dicendo “compriamo tutto qua almeno siamo a posto con la stagione”. Non sei il primo a sottovalutare la dipendenza.

13. Gli outlet sono ubicati in posti dove la gente non passerebbe mai. Almeno se ti rovini non puoi fargli causa dicendo che ci sei passato per caso.

14. Per arrivare all’outlet spendi molti soldi di benzina e autostrada. Così puoi comprarti molte cose dicendo “con quello che ho risparmiato mi ci sono pagato la benzina e l’autostrada”.

15. L’outlet ha gran pare del successo nel suo nome. Anche se, visto lo stupefacente effetto che ha sulla gente, “spaccio” avrebbe reso meglio l’idea.

PS. Per quanto sia economica la cosa che hai comprato all’outlet, la copia contraffatta della stessa che trovi sulla spiaggia costerà meno.

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(video amatoriale ma non statico)

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(grazie infinite a robi)

[la miseria grafica è provvisoria, spero]

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I soliti idioti

E’ ripartito su Raiuno “I soliti ignoti”, il preserale presentato da Frizzi.
Questo è un pezzo di tre anni fa che provava a spiegarne il funzionamento…

“I soliti ignoti” sbanca il preserale posttg sostituendo degnamente i pacchi di Insinna. A condurlo un presentatore del quale si erano perse le tracce a Salsomaggiore alcuni anni fa, tale Fabrizio Frizzi dall’unica espressione e dalla simpatia devastante (nel senso di devastazione tipo tsunami).

Le regole sono facili: dieci persone vanno abbinate a dieci profili (tipo professioni, parentele, cose fatte, fiumi, città e animali) e fin qui tutto bene: il concorrente fa pantomime tipo guardare la mano destra (per capire se l’indagato vive da solo) o annusare (per capire chi è il pesciaiolo – questo è accaduto veramente -).
Solo che siccome lo spettacolo ha le sue esigenze i furbi autori hanno inserito un paio di cosette che vivacizzano un programma che altrimenti sarebbe noiosissimo.

La prima, almeno un paio dei sospetti sono evidentemente riconoscibili. Una stragnocca in costume da bagno coroncina e scettro sarà Miss Italia? Un omino coperto di fuliggine sarà uno spazzacamino? Pippo Baudo sarà Pippo Baudo?
Il secondo stratagemma è che i concorrenti sono finti. Semplicemente finti. Probabilmente attori o comparse, pagati per reggere uno spettacolo che con un gioco non ha nulla a che fare. Lo si capisce perchè sono diversi dai concorrenti degli altri giochi (somigliano un po’ a quelli di Affari Tuoi): fanno facce strane, recitano per tutto il tempo a soggetto ripetendo scenette preconfezionate, modi di dire, lanciando urletti, simulando folli gioie e terribili dolori.

Vabbè, così va il mondo. Piuttosto è importante raccontare a chi non ha mai visto “I soliti ignoti” come funziona la “scena madre”, ovvero il momento in cui il concorrente ha individuato il possibile abbinamento.

Parte la musica, incalzante e ansiogena. La telecamera scende a picco sul sospetto e gli gira attorno. Poi stacca sul primo piano del concorrente che comincia a mangiarsi le unghie. Su quello di Frizzi che alza il sopracciglio. Su quello del sospetto, impassibile. Si avvicina al viso del concorrente, che piange recitando preghiere in aramaico. Poi a Frizzi, che alza il sopracciglio. Infine al sospetto, impassibile. E ancora al concorrente (siamo al punto che si vedono i brufoli) che chiama a casa per disdire il mutuo. A Frizzi il cui sopracciglio è vicino al soffitto e disturba le luci. Al sospetto, del quale notiamo imperfezioni del derma, impassibile. Al concorrente (o perlomeno ad alcune cellule a lui attribuibili), che dice no no non ce la farò mai e si suicida. A Frizzi privo di sopracciglia come Mina. Al concorrente che infine, sfinito, stremato, esaurito, dice: NOOOOOOOOOOOO NON SONO IO L’IDRAULICOOOO COGLIONEEE NON VEDI CHE HO IN MANO UNA PALETTA DA VIGILEEEEEEEEEEEEEEEEEEE

(silenzio. il concorrente e frizzi si guardano come per condividere un momento nel quale non si sarebbero mai voluti trovare, un altro 11 settembre, la fine del m… poi Frizzi fa notare che ci sono ancora in palio sei milioni di euro potenziali… e RIPARTE L’ALLEGRIA!)

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Quando si fanno i lavori in casa la parola chiave è “frustrazione”. Uno si deve mettere l’animo in pace e capire che, per quanto egli possa essere il più grande genio del bricolage – e non è assolutamente il mio caso – si troverà quotidianamente a essere sbeffeggiato. Dai tecnici che gli seguono i lavori (muratori, idraulici, elettricisti) e soprattutto dai negozianti che vendono i pezzi di ricambio.
Anzi, secondo me c’è un accordo segreto tra gli uni e gli altri. Non solo per fare prezzi improbabili ma anche per definire un gergo immaginario atto a prendere per i fondelli il cliente.
Un esempio? Eccolo.

ATTO PRIMO – IN CASA
L’idraulico apre la scatola del rubinetto e comincia a scuotere la testa.
“Non c’è”
“Cosa?”.
“Non c’è”, ripete come se io non avessi parlato.
Mi faccio coraggio. “Manca qualcosa?”
Lui alza la testa, mi guarda come se mi vedesse per la prima volta.
“Sì, manca il raccordo 25/16. Così il rubinetto non si può montare.”
“Ma come”, comincio ad annaspare, “mi sono raccomandato con il negozio che ci mettesse tutto…”
Ora la sua voce è carica di compassione.
“Eh, si vede che non ce l’hanno messo”
“Cosa?”
“Il 25/16”
Fa per raccogliere la sua roba e andarsene. Già mi vedo la sera lavarmi i denti nel bidet con mia moglie che insulta me, gli idraulici e in crescendo tutto il resto dell’umanità.
“Posso andarlo a comprare?”
“In teoria sì”
“Ma?”
“Son tutti chiusi, è ferragosto”, continua a raccogliere la roba.
“Ma no”, sparo all’impazzata, “mi pare che XXX sia aperto…”
Sbuffa. “Ok, vai e ti aspetto”.
“…”
“25/16. Lui capisce”

ATTO SECONDO – AL NEGOZIO
L’uomo ti squadra e in tre secondi ha già capito se stai tra gli eletti (gli installatori), i semieletti (i maneggioni) o i paria (gli sfigati). Mi ha messo nella terza categoria e perciò aspetto per mezzora mentre gli eletti mi scorrono attorno, vanno diretti in magazzino, si battono gli scontrini e dicono frasi tipo “poi ci rifacciamo”.
Alla fine viene da me.
“Un… raccordo”, leggo l’appunto, “25/16… mi pare…”
Lui mi guarda come se avessi parlato in un dialetto delle tundre caucasiche.
Io mostro il foglietto sperando che così vada meglio.
Lui lo prende e poi scuote la testa (peraltro con la stessa cadenza con cui scuoteva l’idraulico poco prima).
“Sicuro?”
A quel punto tiro fuori la carta dell’umiliazione e dico la frase-tipo dello sfigato. “Così mi ha detto l’idraulico”
“Chi è l’idraulico?” (evidentemente la domanda ha un senso anche se mi sfugge)
Dico il nome e lui sembra per un attimo rischiararsi. Poi si rifà scuro.
“Il 25/16 non lo fanno più da anni. Ho questo.” Guardo il pezzo che mi mostra con occhi vuoti. “Dovrebbe andare bene lo stesso.”
A quel punto farei qualsiasi cosa per liberarmi dall’incantesimo malvagio. Dico che va bene, pago un prezzo spropositato e prendo il pezzo.
Sto per uscire ma lui mi ferma. Temo il peggio, invece mi dice solo di salutare l’idraulico. Sorride, credo mi stia prendendo per il culo.
A questo punto potrei parlargli delle crittografie mnemoniche, di un libro che lui non avrà mai letto o di una qualsiasi cosa che io so e che lui non sa. E se poi invece la sapesse?
Metto la coda tra le gambe e scappo con il mio surrogato di raccordo recitando un mantra affinchè sia quello giusto. Lo sarà ma servirà a poco perchè la prosecuzione del tubo ci porterà a un altro pezzo mancante e a un’altra visita al negozio di ricambi.

A casa vedo Francesco che gioca con le lettere sulla lavagna magnetica. Gliele butto via e lo faccio giocare con la cassetta degli attrezzi. Bene che si abitui.

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(Secondo me è dovere di ogni cittadino italiano quello di aiutare Jovanotti a riempire le sue canzoni di banalità, se non vogliamo che rimanga senza e vada in crisi. Io la mia parte l’ho fatta)

Un panino al prosciutto
non c’è niente di brutto
un filmato venuto un po’ mosso
il cavallo che vince da scosso
il semaforo è rosso
un bambino che se la fa addosso

quattro vigili urbani
aspettando domani
una multa, divieto di sosta
un gabbiano un po’ sordo
qualche amaro ricordo
una nota di Guantanamera

un amico che rispetta i patti
il pensiero che prima o poi schiatti
se poi capita lavando i piatti
io ci penso e ne rido da matti

sette gatti in cantina
ottocento in cucina
invasione di bestie feroci
che poi scappan veloci
le scarpette da corsa
la cugina di un’orsa
una ricca seduta di borsa

il vicino di zia Filomena
che le suona una sera per cena
lei gli offre sformato di iena
e poi guardan le foto di Siena

(piano)
l’orologio di marca
la vela di una barca
tante macchine su una bisarca
soli su una collina
che facciamo l’amore
stando attenti a non fare un errore

(pianissimo)
un miliardo di cose
tutto quello che pensi
me lo dai e ci fo una canzone
una musica furba
la mia faccia da schiaffi
la mia zeppola che fa schiantare
ci ho pensato un po’ tardi
posso farci i miliardi
con un film per colonna sonora
baciami ancora
(ah no, questa l’ho già fatta)

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